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Il fallimento italiano (da Le regole del gioco)
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Autore Messaggio
paolodegregorio
Dio minore
Dio minore


Registrato: 13/07/07 12:00
Messaggi: 979

MessaggioInviato: 16 Nov 2016 18:28    Oggetto: Il fallimento italiano (da Le regole del gioco) Rispondi

Capitolo 11
“il fallimento italiano”

In qualunque ambiente sociale mi trovo a parlare di politica, piovono addosso alla medesima insulti, discredito, accuse di tutti i pareri, disgusto, scetticismo, rassegnazione, fatalismo, mai un commento positivo, una speranza, a significare una profonda sfiducia in qualunque uomo (o donna) che si avvicini al potere.
Che in parole povere significa che se vai al potere e ti trovi a prendere decisioni che possono darti un vantaggio personale, scegli il personale e non la collettività che hai giurato solennemente di servire.
La storia dei partiti politici italiani, dalla fine della 2a guerra mondiale ad oggi, conferma che il discredito di cui gode la politica è ampiamente giustificato dallo spettacolo di corruzione, inefficienza, di impunità, di trasformismo, di ruberie, di mancata o finta lotta alle mafie, percorso nel quale si sono persi gli ideali cristiani e comunisti e la lotta politica è ormai tutta al centro in una perenne lotta di spartizione.
Negli ultimi anni però si sono determinati due eventi importanti: dal marciume maleodorante della politica, fatta da scaltri esperti, tecnici, professori, piduisti, mafiosi, è nata l’antipolitica, e dalla globalizzazione è nato il primato della economia e delle sue ferree leggi di profitto, che ha portato buona parte dei nostri imprenditori a vendere le proprie aziende alle multinazionali o a delocalizzare all’estero, dove trovano migliori condizioni di tassazione e di costo del lavoro.
Come ci possa essere una ripresa della nostra economia con questa tendenza è uno dei misteri gaudiosi che ci propina Renzi, e quanto ai fantomatici investitori che dovrebbero venire in Italia è un'altra barzelletta inventata dal “bomba”, visto che la tassazione del 45% fa scappare anche gli imprenditori italiani.
Se ci aggiungiamo il debito pubblico, costantemente in aumento con i relativi interessi da pagare, una politica seria ci dovrebbe informare che siamo in una crisi strutturale irreversibile, con molte banche a rischio, invece di prenderci per i fondelli con gli zero virgola e dati incompleti o manipolati.
Comunque, per onestà, vi è un fatto da rimarcare: anche se Renzi fosse il miglior amministratore del mondo, il sistema economico globalizzato sfugge ad ogni intervento della politica. Esso è controllato da grandi banche d’affari, dalle multinazionali, dalle produzioni industriali a basso prezzo dei paesi emergenti, e la globalizzazione è già stata vinta da chi possiede questi mezzi.
Noi non possediamo multinazionali, né grandi banche, solo uscendo dal sistema del libero commercio (WTO) e solo mettendo dazi sulle importazioni, che danneggiano i nostri produttori, potremmo creare le condizioni di una ripresa, almeno della occupazione.
Negli USA, Obama, pur in regime presidenziale, non ha potuto mantenere le promesse elettorali fatte con la suggestione messianica del “yes we can” in materia sanitaria e sulla limitazione della vendita delle armi, è stato sconfitto dalle lobby delle assicurazioni e da quelle dei produttori di armi organizzati nella “rifle association”.
Se volete avere un’idea di ciò che è successo dal 2008 (inizio della crisi globale), abbiate la pazienza di leggere i seguenti dati.
Il debito pubblico italiano ha avuto il seguente andamento, rilevato dalla banca d’Italia:
2008- 1.666 miliardi di euro
2009- 1.763 “ “
2010-1.843 “ “
2011-1.897 “ “
2012-1.988 “ “
2013-2.067 “ “
2014-2.134 miliardi di euro
2015-2.169 “ “
30.6.16- 2.248 “ “
Renzi fu insediato al governo il 22 febbraio 2014 e quindi in tale periodo il debito pubblico è aumentato di 180 miliardi di euro.
È facile governare aumentando il debito pubblico
E negli anni della globalizzazione ecco un elenco di aziende di grandi dimensioni che sono state vendute all’estero, a multinazionali, a fondi sovrani o a grandi investitori dei paesi che indico al loro fianco:
FRANCIA: BNL, Parmalat, COIN, Galbani, Invernizzi, Locatelli, Cademartori, Scaldasole, Eridania, Bulgari, Gucci, Ferrè, Fendi, Pomellato, Loro Piana (cachemire), Emilio Pucci,
SVIZZERA: Buitoni, Perugina, San Pellegrino alla Nestlè con Acqua Panna, Vera, Levissima, Recoaro, San Benedetto, Acqua Claudia
USA: Martini & Rossi, Cinzano, Conbipel, Simmental, Splendid, Saiwa, Fattorie Osella, Gruppo FINI, STOCK con chiusura storico stabilimento di Trieste
GERMANIA: Lamborghini, Ducati, Standa, Cantiere del Pardo, Grand Soleil,
SPAGNA: Telecom, Star, Fiorucci salumi, Bertolli, Carapelli, Sasso, Olio Dante, Riso Scotti, Sogni d’oro, Orzo Bimbo, Mellin, Pummarò
SVEZIA: Zoppas, Zanussi, Molteni, REX, Biciclette Bianchi
Angloolandesi della Unilever: Algida, Sorbetteria Ranieri, Riso Flora, Santa Rosa
QATAR: Valentino
EMIRATI ARABI UNITI: 49% Alitalia
SUD AFRICA: Peroni
RUSSIA: Gancia,
CINA: Pirelli, Chianti gallo nero, Sergio Tacchini, Gruppo Ferretti (costruzioni navali di lusso)
OLANDA: Safilo
KOREA: Coccinelle (abbigliamento)
BRASILE: Rigamonti
ARGENTINA: Pasta Delverde
GIAPPONE: AR pelati, Fiorucci moda,
TURCHIA: Pernigotti

Tra le delocalizzazioni la più importante è quella della FIAT, che oltre ad avere spostato negli USA l’attività principale, ha portato buona parte della produzione in stati in cui la manodopera costa di meno (stati dell’Europa dell’est, Turchia) e ha trasferito la sua sede fiscale fuori dall’Italia, per pagare meno tasse.
La CGIA di Mestre ha pubblicato il dato di 27.000 imprese che avevano delocalizzato sino al 31.12.2011, con una perdita di 1.557.000 posti di lavoro in Italia.
Abbiamo detto l’essenziale sulla crisi sistemica e la nostra inadeguatezza a competere nella macro economia globalizzata.
E’ la natura stessa del nostro territorio, frammentato in 8.000 comuni, di collina o di montagna, che non consente colture su vasta scala, né grandi allevamenti intensivi, non può essere competitivo nello scenario globale, ma è adatto a colture di qualità legate a tradizioni tipiche del nostro territorio, che hanno un mercato nazionale e internazionale. Il piccolo modo di produrre è la dimensione giusta per le nostre attività produttive.
Per tutelare il patrimonio architettonico, artistico, ambientale occorre che questi beni abbiano una cura costante operata direttamente dal comuni, che devono far formare in adeguati corsi operatori del restauro, guide con una conoscenza approfondita del territorio e dei suoi tesori, promuovendo anche l’offerta turistica in siti internet che informano e pubblicizzano a livello internazionale.
La strategia deve essere quella di attrarre verso itinerari, oggi poco noti, flussi di turismo di qualità che oggi frequenta solo le grandi città d’arte, in quanto tesori di arte, di ambiente, di enogastronomia sono diffusi in tutto il territorio italiano e aspettano solo di essere scoperti e goduti.
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