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* il gioco del nonno
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danielegr
Dio maturo
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MessaggioInviato: 09 Feb 2006 14:36    Oggetto: Rispondi citando

Beh, io sono un nonno: ho due nipotine, una di 14 e l'altra di 3 anni. Non le vedo molto spesso perché una vive in Germania e l'altra in Toscana (io sono in Liguria - Ponente). Ma forse interessano di più i miei ricordi dell'infanzia.
Ecco, mi ricordo che, all'età di circa 10 anni, appena finita la guerra, andavamo a giocare in strada, al pallone. Il pallone raramente era un vero pallone, più spesso era un fagotto di stracci, o, meglio ancora, un 'tolino'. Per chi non fosse di Milano preciso che 'tolini' erano chiamati i tappi metallici delle aranciate o delle prime Coca Cola. Si cercavano due 'tombini' che fossero più o meno frontali, e quelli rappresentavano le porte (tombini erano quelle aperture sul bordo verticale del marciapiede, di grandezza pressappoco centimetri 30 x 10, che servivano per lo scolo dell'acqua piovana).
Le due squadre cercavano, seguendo le regole (si fà per dire...) del normale calcio di mandare il 'tolino' nella porta avversaria. Ovviamente il 'tolino' poi si perdeva (cadeva nella fognatura) ma tanto ne avevamo delle scorte immense...
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danielegr
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MessaggioInviato: 09 Feb 2006 15:54    Oggetto: Rispondi citando

Si sono in nonno autentico, originale e certificato (diffidare dalle imitazioni)
Come era Milano nel 1946 o giù di lì? Beh, certamente il mio parere è un po' viziato in male dal fatto che fosse appena finita la guerra e che quindi l'unica ricchezza che avevamo era la miseria. E' viziato in bene dal fatto che allora avevo 10 anni e tutta la vita davanti.
Abitavo in Via Leopardi, molto vicino al Parco Sempione e alla Stazione Nord. Uno dei miei passatempi preferiti era quello di andare a sedermi sul cavalcavia sopra le Ferrovie Nord e veder passare i treni, ma soprattutto vederli fare manovra. Il massimo era quando una locomotiva da manovra (antichissima già allora, avrà avuto un fumaiolo alto un metro) dopo aver sistemato i vari vagoni doveva invertire la marcia. C0era una piattaforma girevole sulla quale il macchinista fermava il suo trabiccolo, poi scendeva, estraeva una specie di leva che incastrava sulla piattaforma, e a sola forza di braccia facevo ruotare la locomotiva. Anche se sarà stato tutto ben oliato e su ciscinetti a sfere, doveva essere una bella fatica.

Lì vicino, proprio adiacente ai binari delle Nord c'era una strada che passava sotto al suddetto cavalcavia, e sui bordi della quale c'erano delle formazioni simil-rocciose, alte anche quattro o cinque metri, Per noi ragazzi era una pacchia immaginare che quelle formazioni fossero le vere Alpi e fare su di esse delle scalate che poi, nei nostri racconti, diventavano delle imprese alpinistiche di prim'ordine...
Davvero nnon conoscevate i 'tolini'? Sono stati il giocattolo preferito della nostra infanzia, usati come pallone, come corridore ciclista eccetera. Ogni bambino che si rispettasse aveva la sua collezione di tolini (i più richiesti erano, se ricordo bene, quelli del Campari Soda, i più svalutati quelli della Coca Cola).
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brain
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MessaggioInviato: 09 Feb 2006 16:01    Oggetto: Rispondi citando

[ot]
@danielegr
io ho 31 anni, ma mi riporti a quando avevo 5 o 6 anni e si campeggiava dalle parti di sperlonga, sul confine lazio campania, e si andava in giro per bar, gelaterie e si percorreva la spiaggia avanti e indietro alla ricerca dei tappi. se ci ripenso. avevo un sacchetto pieno, e a sera ci si scambiava i doppioni.
[/ot]

scusate non lo faccio piu'.
@mad
non mettere sta roba nell'e-book Wink
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madvero
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MessaggioInviato: 09 Feb 2006 16:20    Oggetto: Rispondi citando

tranquilli, quando ci saranno tanti racconti, farò una specie di bozza e la posterò qui e tutti la potranno rimaneggiare, prima di fare la versione definitiva...

io ho 27 anni, e da piccola giocavo con le biglie grosse con dentro le fotografie (dei calciatori o dei ciclisti? non ricordo), ma niente giochi con i tappi.
però quando le vecchiette del cortile ci bucavano tutti i palloni e noi non avevamo più spiccioli sottomano per ricomprarli, giocavamo a calcio con palloni fatti da fogli arrotolati e tanto scotch da pacco.

daniele, se posti un raccontino al giorno non mi offendo mica, sai? Mr. Green
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danielegr
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MessaggioInviato: 09 Feb 2006 16:50    Oggetto: Rispondi citando

Non sarà facile rispolverare un ricordo al giorno, però intanto di provo a portarmi in vantaggio.
Subito dopo la guerra Milano era ridotta, come si può immaginare, ad un cumulo di macerie. Sorgeva quindi, oltre al problema della ricostruzione, anche il problema di cosa fare con quella massa di materiale non utlizzabile, mattoni rotti, persiane, finestre, mobili, calcinacci, rottami di vario tipo, residui dei bombardamenti. Qualcuno, non so più chi, penso il Sindaco di aloora (Avv. Greppi) ebbe una idea brillante. Perchè non riunire tutte queste macerie in un punto un po' fuori dall'abitato, portendocele con i camion delle imprese che avrebbero provveduto alla ricostruzione, coprirlo di terra e lasciar fare alla natura? Sembrava un'idea peregrina, però nessuno aveva saputo proporre niente di meglio.
Per noi ragazzi (a quel punto avevamo già 12-14 anni) era una sfida irrinunciabile andare in bicicletta fino a quel cumulo di terra sconnessa e sfidarci su quella specie di pista mal ridotta che serviva ai camion per portare in cima altre macerie da scaricare.
Oggi quel posto è noto come la Montagnetta di San Siro, alias QT8
Greppi (o chi per lui) aveva visto lontano.
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MessaggioInviato: 09 Feb 2006 16:58    Oggetto: Rispondi citando

che poi non e' altro che quello che fecero gli antichi romani che dal porto di ripa, se non sbaglio, rompevano i vasi con cui trasportavano oli e vini e spezie e chissa' cos'altro, e con i cocci diedero origine al "monte dei cocci".
sta' al testaccio, prima di arrivare all'ex mattatoio, e c'e' una pizzeria che ha scavato dentro il monte e coperto il tutto con un vetro e si possono vedere tutti gli strati di cocci.
bellissimo, e la pizza con i fiori di zucca che fanno e' fenomenale.
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danielegr
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MessaggioInviato: 12 Feb 2006 15:31    Oggetto: Rispondi citando

Un altro breve ricordo degli anni subito dopo la guerra:
Abitavo (forse l'ho già detto) a Milano in Via Leopardi. Era una strada molto tranquilla, passava un'auto ogni quarto d'ora quando c'era traffico. Una pacchia quindi per i ragazzi che potevano stare per strada quasi indisturbati a qualsiasi ora. Anche alla sera dopo cena eravamo in 'libera uscita', potevamo star fuori fino a che non si fossero accesi i lampioni stradali. Questo, in estate e con l'ora legale, indicava che erano pressapoco le dieci di sera, e quindi era l'ora di andare a nanna. E' strano, perché di violenza in giro ce n'era parecchia, violenza dovuta anche al fatto che fino a poco prima ammazzare la gente era quasi un atto meritorio, era anche il periodo in cui bande di rapinatori, mi ricordo quella di Bezzi e Barbieri, terrorizzavano Milano, però noi bambini e ragazzi avevamo lo stesso ampia 'libertà di manovra'.
Un altro dei passatempi preferiti era quello di andare a pattinare (pattini a rotelle, naturalmente; i roller in linea non erano neanche nella mente di Dio). Una pista ideale era la Via Revere, in pratica il proseguimento della via Leopardi, che aveva un asfalto particolarmente liscio e ancora meno traffico di quello della nostra via. Lì si svolgevano le nostre gare (vincevo abbastanza spesso) e, naturalmente, le nostre omeriche cadute con relative ginocchia sbucciate e contusioni varie. E non si poteva neanche andare a lamentarsi dalla mamma, per evitare altre ... contusioni, bisognava arrangiarsi da soli e leccarsi le ferite. Nè io nè i miei amici abbiamo mai avuto infezioni a seguito di quelle disinfezioni molto primitive.
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danielegr
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MessaggioInviato: 13 Feb 2006 13:52    Oggetto: Rispondi citando

Le scuole medie le ho fatte presso la Scuola Mameli, in Via Rivoli. Erano nello stesso stabile dell'Ist. Tecnico per Ragionieri Schiaparelli, che poi ho frequentato. Lo stabile è stato poi demolito per far posto al Piccolo Teatro, e questa è una di quelle cose che non ho ancora perdonato. Distruggere la MIA scuola!!! Va bene che, ai tempi, una delle mie più grandi aspirazioni sarebbe stata quella di mettere una bomba sotto la scuola, però era una cosa che avrei dovuto fare io, non una squadra di demolitori... (in seguito ho cambiato parere: mi sono accorto che volevo bene a quella scuola, a quei muri, a quei banchi e perfino a quei professori).
Tutta questa introduzione era per dire che, abitando in Via Leopardi, andavo a quella scuola (a piedi, logicamente. In quel periodo sarebbe stato ridicolo pensare ad un altro mezzo di locomozione) attraversando il Castello Sforzesco. Al ritorno invece, avendo un po' meno fretta, facevo il giro da Foro Buonaparte. E qui viene il bello: in Largo Cairoli c'erano sempre almeno due bancarelle di imbonitori (le Wanna Marchi dell'epoca: un po' più corretti però) e per me era impossibile non fermarmi ad ascoltare le loro imbonizioni.
In una bancarella di solito vendevano lamette da barba: con parole auliche, non so quanto capite dagli ascoltatori, vantavano la qualità di quelle lamette, che probabilmente erano solo dei ferrivecchi, asserendo, per esempio, che la loro colorazione era dovuta a una particolare tecnica nella fusione. Offrivano una serie intera di pacchetti di lamette, sette o otto, a prezzi bassi (lo chiamavano : Il pacco dell'operaio).
Un'altra bancarella di solito vendeva uno strano attrezzo, che avrebbe dovuto permettere a chiunque di preparare delle frittelle. In sostanza: sarebbe bastato immergere questo attrezzo che aveva una forma vagamente floreale in una pastella e poi nell'olio bollente per ottenere frittelle di prim'ordine. Era d'uso che qualche bambino dimostrasse la semplicità dell'uso dell'arnese, e qualche volta è capitato anche a me. Mai però che me le avessero fatte mangiare, dopo averle preparate...
Sono stato un po' troppo lungo: scusatemi.
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MessaggioInviato: 14 Feb 2006 18:06    Oggetto: Rispondi citando

Con questo post penso di interrompere la storia dei miei ricordi infantili, perchè credo che non ci sia niente di peggio di un vecchio al quale viene chiesto di raccontare della sua giovinezza: non la smette più fino a che non viene abbattuto a fucilate. Quindi, per evitare questo finale, è meglio che la smetta da solo.
Un ultima cosetta: negli anni della guerra, naturalmente il riscaldamento non esisteva, bisognava arrangiarsi come si poteva. Noi eravamo riusciti a procurarci due stufe che avrebbero dovuto bruciare segatura, pressochè introvabile però, e nelle quali bruciavamo qualsiasi cosa potesse bruciare, dai pezzi di vecchi mobili a scarpe vecchie e sfondate, a qualche ramo che trovavamo per terra (abitavamo vicino al Parco Sempione, notevolmente saccheggiato da tutti quelli che, come noi, cercavano qualsiasi cosa potesse entrare in una stufa).
In quel periodo molta gente cominciava a primavera a procurarsi della carta, qualsiasi tipo andava bene, anche il cartone. La carta veniva tenuta a mollo nell'acqua di un mastello per alcuni giorni, poi veniva raccolta in forma di palla di una decina di centimetri di diametro e ben compressa (con le mani, naturalmente) Il sole dell'estate provvedeva ad una perfetta essicazione e, all'inverno successivo erano un ottimo combustibile per la stufa.
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MessaggioInviato: 14 Feb 2006 22:39    Oggetto: Rispondi citando

danielegr ha scritto:
credo che non ci sia niente di peggio di un vecchio al quale viene chiesto di raccontare della sua giovinezza: non la smette più fino a che non viene abbattuto a fucilate.

non è detto, magari a qualcuno piace anche ascoltare.
ti ringrazio, non sono in molti ad aver risposto all'appello !!!
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Gipi'
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MessaggioInviato: 15 Feb 2006 00:11    Oggetto: Rispondi citando

Bellissima idea Mad, provo a metter giu' il mio contributo.

Ho avuto la fortuna di conoscere tutti e quattro i miei nonni e ben tre bisnonni, io ricordo uno solo dei bisnonni, ricordi molto vaghi naturalmente, ma e' dei nonni che vi voglio parlare

I miei nonni materni, Gugliemo (nonno Memo) e Margherita (nonna Rita) tutti e due classe 1915, nati a Monzambano in provincia di Mantova ad un passo dal Lago di Garda. Hanno sempre lavorato nel settore alimentare con un intermezzo di allevatori negli anni '70. La nonna, durante la seconda guerra mondiale, partigiana, aiutava i suoi compagni, andando a "servizio" dai nazisti che era alloggiati nel castello di Monzambano, ed era, tra l'altro, l'unico modo che aveva per portare a casa da mangiare a mia mamma, che all'epoca aveva 6 anni e a mio zio un po' piu' giovane (mio nonno era in Russia). Ricordo che mi raccontava che per aiutare i partigiani, conoscendo il castello, visto che da bambina ci andava a giocare, e sapendo quando i nazisti si riunivano, attraversando dei cunicoli "segreti" riusciva a ad avvicinarsi alle stanze delle riunioni e ad ascoltare quello che dicevano. Avendo, per il tempo una discreta cultura, cercava di trascrivere quello che capiva (parlavano tedesco) e poi riferiva ai gruppi partigiani del posto.
Il fatto e', che questo metro e quaranta di donna e' cosi' ancora adesso. Ho l'immensa fortuna di averla ancora qui, quest'anno compie 91 anni, sta benino ed ha ancora energia da vendere, abita con altre due mie zie, sorelle di mia madre, ma e' lei che accudisce loro. Wink

Mio nonno, un personaggio con una forza e una determinazione che si puo' trovare solo nelle persone che hano lottato per la sopravvivenza, in quel periodo era militare in Russia a patire fame e freddo ed e' uno di quelli che e' riuscito a tornare con l'ultimo treno. Mi racconta la nonna, che e' stata una fortuna riuscire ad avere l'informazione per riuscire a salire su quell'ultimo treno. Gli altri non sono piu' tornati. Putroppo appena rientrato in Italia con non so quali peripezie, (non ne ha mai parlato volentieri), e' stato fatto prigioniero dai tedeschi e trasportato in un campo di prigionia in Germania. Anche li, si e' dato da fare riuscendo a fuggire calandosi nelle latrine di notte e scavando un tunnel nella cacca, che data la temperatura bassissima, era resa solida dal gelo, lo so che fa un po' schifo, ma questa e' verita'. E' tornato a casa dalla Germania, facendosi tutta la strada a piedi. Fa pensare vero?

Di questi nonni conservo dei ricordi indelebili; ho passato moltissime estati da loro aiutandoli nel loro lavoro. Prima nel panificio che avevano in provincia di Verona, poi in campagna, ad allevare vitelli e volatili vari, e piu' recentemente, fino alla fine degli anni '70, nel piccolo supermercato che erano riusciti a metter su. Il nonno se ne e' andato nei primi anni '90.

Ma per fortuna che c'e' la nonna e vi garantisco che mi sento fortunato. Non e da tutti a 47 anni a prendere in mano il telefono e sentire la nonna che ti sprona e dispensa ancora voglia divivere, e' una cosa speciale.

La prossima volta, qualcosa sugli altri due.
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danielegr
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MessaggioInviato: 15 Feb 2006 19:39    Oggetto: Rispondi citando

Va bene, l'avete voluto voi, non venitevi poi a lamentare da me. (occhio però che anche se caricato a sale il fucile fa male).
Oggi siamo tutti abituati, se vogliamo scrivere qualcosa, a prendere una qualsiasi biro, scrivere il nostro appunto e poi, di solito, dimenticarci di restituirla... Non era così subito dopo la guerra: carta penna e CALAMAIO erano indispensabili. Alle scuole elementari ho un vago ricordo del bidello che girava per i banchi con uno strano recipiente sulla spalla, recipiente dal quale usciva un lungo becco che serviva per riempire il calamaio che era infilato in quel buco che esisteva nei banchi di una volta. Era un inchiostro di pessima qualità (e ringraziare il cielo che c'era quello) pieno di scorie che trascinate dal pennino lasciavo delle macchie orrende sul foglio. Il maestro (allora erano quasi tutti maschi: le maestre erano una minoranza) dava a noi, poveri bimbetti innocenti, la colpa di quelle macchie. Invece noi poveretti non avevamo nessuna colpa: è vero che spesso si faceva a gara per vedere che faceva la macchia più bella, però lo facevamo ingenuamente, senza malizia ...
I più raffinati si portavano da casa una boccetta di inchiostro stilografico. Il problema era però che queste boccette non riuscivamo sempre a chiuderle perfettamente, e quindi nelle cartelle si rovesciavano e imbrattavano libri e quaderni. Le penne stilografiche erano vietatissime, con la scusa che non si sarebbe potuto fare con queste il ?chiaroscuro? (cioè quella manovra per la quale quando si scriveva dall'alto verso il basso si doveva calcare di più, e la linea diveniva più grossa). Era particolarmente raccomandato un pennino che aveva vagamente la forma della Tour Eiffel, piuttosto lungo e morbido, che quindi si prestava particolarmente alla manovra che ho accennato sopra. Il problema era che una delle due punte del pennino, nello scrivere dal basso verso l'alto, a volte si impuntava, bucava il foglio, schizzava inchiostro tutto intorno con particolare preferenza per il colletto bianco del compagno del banco davanti. E meno mane che allora si usava il grembiule nero.
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MessaggioInviato: 15 Feb 2006 21:58    Oggetto: Rispondi citando

Citazione:
riempire il calamaio che era infilato in quel buco che esisteva nei banchi di una volta

ecco cos'era quel buco che c'era nei banchi quando andavo alle elementari e alle medie !!!
e io che credevo che fossero semplicemente banchi sfasciati !!!
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MessaggioInviato: 16 Feb 2006 13:54    Oggetto: Rispondi citando

Non mi ricordo quando è cessato l'ostracismo alle penne stilografiche, certamente era cessato quando sono andato all'Istituto Tecnico, cioè nell'autunno del 1949. Probabilmente già era cessato almeno nell'ultimo anno delle medie. Ovviamente le penne a sfera, che peraltro erano ancora poco diffuse e del resto poco affidabili (quante volte anche negli anni successivi hanno sparso intorno l'inchiostro e rovinato irrimediabilmente i vestiti) erano considerate strumenti del demonio e quindi proibitissime.
Le penne stilografiche presentavano un indubbio vantaggio, soprattutto durante i compiti in classe: l'uso normale era far finta che la propria penna fosse scarica e quindi chiedere il permesso di farsi dare qualche goccia d'inchiostro da un compagno (ovviamente si sceglieva uno dei più bravi, non certo l'ultimo della classe). La manovra era piuttosto complicata: mentre quello con la penna scarica aveva svuotato la pompetta e lentamente la riempiva, il 'donatore' faceva la manovra inversa, spremendo due o tre gocce d'inchiostro sul dorso del pennino dell'altro. Ci voleva sincronismo e, naturalmente, era necessario parlare durante la manovra per concordare l'operazione. Intanto ci scappava pure qualche informazione sulla soluzione del problema...
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Emmett Brown
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MessaggioInviato: 19 Feb 2006 23:25    Oggetto: Rispondi citando

Vero, scusa, ma tu, che sei una grossa bambina di ventisette anni, da piccola giocavi con le biglie di plastica con le foto dei ciclisti dentro? Certo le avrai avute da qualcuno della mia età (quarantotto), o le avrai trovate in una vecchia scatola in soffitta... dimmi un pò, e dicci anche tu qualcosa dei racconti del passato a te tramandati...

Io ho un'età strana, ho io stesso dei ricordi 'da nonno' se mi racconto alla maggior parte di voi, e mi sono sentito invecchiare 'a tradimento' molto presto, nel senso che ho vissuto la mia giovinezza proprio nel periodo in cui ha cominciato a essere evidente l' accelerazione esponenziale dei fatti del mondo... Dai quindici anni in poi, voltandomi indietro ogni cinque anni circa vedevo quasi un'altra generazione, un altro mondo, e ormai una sorta di assuefazione a questo continuo straniamento mi fa sentire come senza età...

Mi sento nonno io stesso, pur non essendolo ancora, in quanto ho ricordi non tanto di cose remote, quanto di cose diverse dalle attuali, e ancor più perchè ricordo l'avvenimento di certi cambiamenti.

La mia mamma ha lavato a mano tutti i miei pannolini; il mio papà non si faceva mancare nulla delle innovazioni tecniche disponibili, in casa c'era un moderato benessere da boom economico ma le prime rudimentali lavatrici domestiche sono arrivate proprio quando avevo già imparato a servirmi del bagno.

Ho fatto in tempo a frequentare (sotto casa) le ultime elementari della Storia cui bisognasse presentarsi col grembiule nero, il colletto rigido bianco e il fioccone azzurro; ricordo che in quinta la maestra mi diede un 4 in un compito in classe di matematica che era perfetto, da 9 o 10, ma le era sembrato scritto a matita, cosa imperdonabile poichè bisognava usare la biro o la stilografica blu. In realtà io avevo fatto tutto con una delle prime nuove biro 'bic nero di china punta fine' (chi se le ricorda?) col corpo giallo, il cappuccio nero e un tratto di scrittura molto fine e non nerissimo, come un grigio scuro, che poteva sembrare una matita dura e appuntita... Non ci fu nulla da fare; anche dopo la prova della gomma la vecchia maestra non ne volle sapere di ritornare sulla sua decisione, disse che le dispiaceva per essersi sbagliata ma che ?Il voto è dato, non lo posso cambiare? (recuperai, comunque).

Ho fatto in tempo a frequentare l'ultima classe maschile della scuola media della Storia (sotto casa, all'altro angolo)... Quando io ero in seconda, diventavano miste per la prima volta le prime; poi ero in terza e naturalmente erano miste le seconde. Ho così passato la prima adolescenza senza il conforto di una compagna di banco; in compenso avevo un sacco di amiche e frequentavo l'oratorio femminile di nascosto da Don Bruno, una specie di Ratzinger degli anni sessanta.

Sono diventato maggiorenne senza palpitazioni o attese impazienti; mi ci sono ritrovato in automatico da un giorno all?altro. Quando la maggiore età in Italia è passata da ventuno a diciotto anni, io ne avevo circa diciannove. Manco 'sta soddisfazione. E niente festa.

Ho visto apparire i primi televisori a colori: nel negozio all'angolo ce n'era uno esposto, costava come un'automobile e la gente faceva capannello davanti alla vetrina per vederlo acceso al mattino, quando la Rai (che allora al mattino mandava in onda solo il monoscopio rotondo in bianco e nero col fischio audio!!) trasmetteva dei filmati sempre uguali di prova e dimostrazione, con scene di parchi fioriti, o di signore che si mostravano tagli di stoffa in un negozio pieno di stoffe colorate, con splendide musiche sinfoniche a commento.

Ho fatto in tempo a passare le prime settimane di servizio militare allorquando ancora bisognava andare in libera uscita in impeccabile divisa; tale obbligo è venuto meno poco dopo l'inizio del mio servizio di leva e così ho portato in caserma un pò di 'abiti borghesi' (già, il servizio di leva, ecco un'altra cosa di cui, con i giovani di adesso, se ne parli sei un vecchio). Ho fatto in tempo a percepire un soldo (la paga giornaliera, traduco per gli under 40) di sole 500 lire al giorno, mentre quelli che entravano in servizio poco prima del mio congedo ne prendevano 1000 e poi addirittura 2000.


Come dite? Che ho rotto, che sono fuori tema di un paio di generazioni e che devo parlare del nonno e non di me?

Bene, allora ecco un istruttivo aneddoto sul mio nonno materno, Zino (Ignazio).

A Milano c'è la via Ragazzi del '99. Sapete chi erano? Erano quelli nati nel 1899, come mio nonno Zino, e che erano stati mandati al fronte da ragazzi, verso la fine della prima guerra mondiale, data la sopraggiunta scarsità di carne da macello.
Nel 1917 il mio nonno aveva diciotto anni? Un nonno di mia moglie, classe 1903, ne aveva quattordici; anche lui fu mandato in gita al fronte di guerra in quel periodo. Tornarono entrambi vivi, e qualche anno dopo a mio nonno fu proposta non so quale medaglia onorifica. Purtroppo, però, l?ottenimento di tale medaglia dal ministero era subordinato a un pagamento, sì, avete capito bene, e immagino cosa deve aver detto mio nonno circa il posto dove potevano riporla; inoltre lui, fratello più giovane di altri, era in parte a loro carico e ?comprarsi? la medaglia-ricordo non sembrava la più oculata delle spese possibili.
In seguito, molto in seguito, ai reduci del ?99 fu corrisposta una modestissima pensione, che avrebbe fatto comodo; tuttavia il nonno Zino non poté giovarsene in quanto ?a suo tempo- non aveva comprato la medaglia, la qual cosa fu interpretata dai regolamenti del ministero come un definitivo inappellabile rifiuto di ogni ricompensa di guerra, pensione compresa.
Il nonno Zino visse relativamente a lungo, considerato quanto faticò in vita e quanto fumava: morì nel 1973, all?età di settantaquattro anni.
Qualche anno dopo, verso il ?76 ? ?77, per iniziativa del Presidente della Repubblica o non so di chi esattamente, tutti indistintamente i ?Ragazzi del ?99? vennero insigniti del titolo di Cavaliere di Vittorio Veneto. La relativa insegna, sotto forma di medaglietta con coccarda tricolore, venne appuntata da mia nonna sulla sua foto incorniciata sul mobile del soggiorno; adesso che anche la nonna non c?è più (di lei vi parlo un?altra volta) quella foto è in casa di un mio zio.

Riassumendo: lo Stato ha mandato un ragazzino alla guerra; lui è sopravvissuto alla guerra ma non al tempo di consegna della relativa onoreficenza. Complimenti a entrambi.
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rebelia
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MessaggioInviato: 20 Feb 2006 00:20    Oggetto: Rispondi citando

il nonno materno - nonno rico (federico) - ha avuto un ictus quando io ero appena nata e questo ha condizionato il resto della sua vita e di quella della nonna; e' morto a 77 anni (io ne avevo 11) dopo anni di sofferenze che lo hanno completamente immobilizzato a letto; la nonna materna, nonna romana, me la ricordo bene, le piaceva cantare e ballare, ma la dura vita l'ha provata molto; e' morta che io avevo 19 anni e il mio ricordo di lei e' quello di una persona sempre preoccupata e stanca

la nonna veneranda e' morta giovanissima: aveva 52 anni e io 10 mesi; e' morta in uno stupido incidente stradale durante un matrimonio, l'auto si e' cappottata e lei ci e' rimasta; il mio ricordo e' quello della persona piu' buona del mondo, ne ho sentito e ne sento parlare continuamente e malgrado non l'abbia mai "conosciuta" (anche se i primi mesi di vita mi ha tenuta lei perche' mia mamma ha avuto gravi problemi di salute), per me e' sempre stata una presenza viva, grazie anche al fatto che tutte le persone (padre e zie in primo luogo) che l'hanno conosciuta sono brave a raccontare; di lei mi rimane un bicchiere in vetro su cui ha fatto incidere il mio nome e cosi' a mia cugina di poco piu' grande di me; la terza nipote si chiama veneranda in suo ricordo (e' nata pochissimi mesi dopo la sua morte) e nessuno degli altri nipoti - e siamo tanti! - ha potuto conoscerla ne' lei conoscere loro; uno dei racconti e' di lei che leggeva la puntata di un romanzo del grand'hotel al paese riunito nella stalla che lo acquistava assieme: le soap dell'epoca Wink

il nonno elio... ve lo presento Mr. Green



e' morto nel 2000 a 90 anni e di lui ho tantissimi ricordi, era un vero patriarca di quelli "di una volta"; sono sempre stata molto legata a lui e se devo scegliere un ricordo solo... mmm... io vivo tra i monti e vengo da una famiglia di montanari che di questo ha sempre campato (fino alla generazione di mio nonno, almeno); quando - soprattutto qualche anno fa - andavo in montagna (e ci andavo spessissimo!!), mi piaceva tornare e raccontargli "sono stata qua, sono stata la'" e lui mi diceva "quel colle si chiama col del re e li' dietro andavo a far legna l'anno in cui e' nata tua zia" oppure "due coste piu' in la' il tal tizio s'e' fatto male durante il peggior temporale che io abbia mai visto" o ancora "in quell'anfratto ho trovato le migliori 'stanghe par la musa' che abbia mai lavorato" (ndr: la "musa" con la esse di sole e' una grande slitta usata per portare a valle legname o altro materiale e le "stanghe" o i "musai" sono i due pezzi di legno che fanno da sci alla slitta stessa e che scivolano sui prati o sui sentieri di sasso: da piccoli mio padre la usava per portar giu' dalla montagna me e i miei cugini: uno dei migliori ricordi di bambina, impagabile!): conosceva ogni anfratto della vallata come le sue tasche e io gli parlavo delle mie escursioni apposta per starlo ad ascoltare! nella foto il nonno sta facendo il piolo di una sedia e si aiuta con una specie di morsetto: sotto (non si vede) preme con i piedi su un supporto collegato alla parte sopra per tener fermo il pezzo mentre lo lavora

uno degli ultimi ricordi l'ho di quando ormai viveva con i miei: quando nessuno lo stava a guardare, andava a dondolare mia figlia sull'altalena (lei aveva 3-4 anni): credo non avesse mai dondolato nessuno prima in vita sua! devo avere da qualche parte uno spezzone di film dove sono riuscita a riprendere la scena Smile (e il fastidio quando se n'e' accorto Mr. Green )

altri ricordi? una marea! ad esempio quando bevevo la panna che faceva scremare su grandi catini smaltati di bianco (aveva le mucche) o di quando arrivai da lui attraverso i boschi: mi ero fermata a raccoglier funghi per strada, lui ha aperto la borsa, li ha guardati e li ha buttati di sotto nella fossa dell'umido (il composter dell'epoca Mr. Green ): non ne avevo azzeccato uno che fosse uno ROTFL

un'altra volta invece mi diede delle uova da portare a casa: io le misi in una borsa, le buttai letteralmente in spalla e feci di corsa la strada fino a casa giu' per i sentieri e attraverso il torrente: secondo voi *cosa* arrivo' a mia mamma? ecco, appunto Ironico Mr. Green

io pero' sono stata molto fortunata: sono nata con sette nonni piu' "la jeja": quattro nonni e tre bisnonni e una prozia e me li ricordo quasi tutti!

la prozia - la jeja pina - e' stata una delle persone piu' importanti della mia vita da ragazza e... vi presento pure lei Mr. Green



era la zia di mio nonno (anche se relativamente poco piu' vecchia) e abitavano porta a porta; era la bonta' fatta persona e per me e' stata piu' della nonna che ho perduto da piccola; un ricordo? la sua mitica scatola dei bottoni! una scatola quadrata di latta dove aveva i bottoni di tutta una vita, ma anche medagliette dei santi, microscopici nastrini, fibbie per cinture, fermacapelli particolari, spille da balia... tutto quel che potete immaginare e anche qualcosa di piu' e per noi il tesoro dei tesori e soprattutto un posto dove potevamo frugare a nostro piacimento senza che nessuno ci dicesse nulla: un mito! Mr. Green

nella foto sta filando la canapa (la jeja pina e' quella in primo piano, l'altra dietro e' la "tonina carestia" Razz ) ed e' una ricostruzione fatta da mio papa' per non ricordo quale mostra fotografica organizzata a soranzen

mia mamma mi racconta che quando ero dai nonni si mobilitavano tutti (nonno, nonna, bisnonna e jeja) per il bagnetto: scaldavano l'acqua, gli asciugamani, le vestine... tutto sulla grande stufa a legna della cucina; finito "il soggiorno" dai nonni sono stata portata a piedi fino in paese (5km sulla strada lunga) avvolta nel grembiule della nonna

le foto vengono da un libro fatto anni fa dalla nostra pro loco e da li' ho recuperato anche la foto che segue: e' il paese di "montagne", dove abitavano sia mio nonno che la jeja, e' proprio alle spalle di soranzen ed e' il posto piu' bello del mondo: sempre al sole e sempre al fresco! (qui se ne vede solo un pezzetto)



mia cugina abitava dal lato opposto della valle e quando andavo da mio nonno era prassi "chiacchierare" accendendo e spegnendo le luci del poggiolo al primo piano Smile

un'altra persona di spicco e' stata la "nona taresa", madre del nonno elio morta quando avevo 6 anni: e' vissuta con noi per un periodo perche' si era infortunata ed e' stata lei ad insegnarmi l'alfabeto; avevo 4 anni, ma me lo ricordo benissimo! donna di grande polso, era la levatrice del paese e il "giudice" quando serviva

ehm... mi sa che mi sono fatta prendere la mano Embarassed
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madvero
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MessaggioInviato: 20 Feb 2006 14:05    Oggetto: Rispondi citando

Rolling Eyes la pausa pranzo non mi basta per scrivere tutto ciò che vorrei, quindi mi limito a ringraziare reb ed emmett per le loro bellissime storie.
una di queste notti comincio a preparare una bozza del libriccino !!!

un po' di risposte a casaccio ad emmett...

Emmett Brown ha scritto:
tu che sei una grossa bambina di ventisette anni

Sbonk Sbonk Sbonk

Emmett Brown ha scritto:
da piccola giocavi con le biglie di plastica con le foto dei ciclisti dentro?

le ho vinte ai miei coetanei. giocando a carte.
la provenienza esatta non la so...

Emmett Brown ha scritto:
Ho fatto in tempo a frequentare (sotto casa) le ultime elementari della Storia cui bisognasse presentarsi col grembiule nero, il colletto rigido bianco e il fioccone azzurro

anch'io il primo giorno delle elementari avevo il grembiulino e il fiocchetto, che erano d'obbligo. a me stavano anche simpatici, così potevo pasticciarmi in santa pace con i pennarelli e quant'altro...
però le mamme delle mie compagne di classe hanno fatto una sommossa per far togliere l'obbligo del grembiule, visto che volevano che si vedessero i vestiti firmati che avevano comprato per le figlie.
per inciso, anch'io avevo tutti i vestitini firmati (armani, pier cardin etc etc) perchè mia mamma diceva che l'importante in un vestito era la qualità, e quegli abiti erano di un'ottima stoffa e cuciti bene (e duravano anni !!!). ricordo che staccammo tutte le etichette dai vestiti (e ancora oggi, qualunque capo d'abbigliamento compri, ho la fissa di scucire tutti i simbolini delle marche, ove possibile).

Emmett Brown ha scritto:
ricordo che in quinta la maestra mi diede un 4 in un compito in classe di matematica che era perfetto, da 9 o 10, ma le era sembrato scritto a matita, cosa imperdonabile poichè bisognava usare la biro o la stilografica blu.

anche a me abbassavano i voti di uno o due punti, però a causa della calligrafia orribile.

Emmett Brown ha scritto:
nuove biro 'bic nero di china punta fine' (chi se le ricorda?) col corpo giallo, il cappuccio nero e un tratto di scrittura molto fine e non nerissimo

anch'io usavo quelle penne, alle elementari.
e la magica quattro colori (rosso verde nero e blu), ovviamente !!!

Emmett Brown ha scritto:
...la Rai, che allora al mattino mandava in onda solo il monoscopio rotondo in bianco e nero col fischio audio...

il monoscopio me lo ricordo anch'io... l'avranno tenuto per anni ed anni, allora!!!

Emmett Brown ha scritto:
Come dite? Che ho rotto, che sono fuori tema di un paio di generazioni e che devo parlare del nonno e non di me?

se volete, modifichiamo il topic: il senso originario (nella mia testa) del gioco del nonno era avere un po' di informazioni di prima mano (e di seconda) di come si viveva nel 900. quindi, dal 1901 al 1990 (perchè le cose successe quando sono diventata un po' grandicella in parte me le ricordo...)
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danielegr
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MessaggioInviato: 23 Feb 2006 16:06    Oggetto: Rispondi citando

Madvero vorrebbe sapere COME si viveva negli anni dal 1901 in avanti, quando lei era ancora solo nella mente di Dio. Non è facile risponderle perchè noi, che ci siamo passati, abbiamo vissuto dei cambiamenti che al momento non ci sembravano traumatici (guerra a parte). Per esempio: le donne, logicamente, portavano la sottana. Non sarebbe stato immaginabile vedere una donna in pantaloni. Il pantalone è stato accettato per le donne solo molto più tardi, e in certi posti (ad esempio in chiesa) più tardi ancora. Ricordo che anche a mia moglie venne vietato l'ingresso in una chiesa (dovevano essere gli anni 70, mi sembra a Pisa) perchè aveva i pantaloni (lunghi, ovviamente). Tra l'altro in inverno credo che il pantalone sia molto più pratico della sottana.
Il nocciolo del cambiamento avvenuto dalla fine della guerra ad oggi credo che sia da ricercare principalmente nelle donne: nel loro modo di vestire, nella considerazione della quale godono, nel loro avvento sul mercato del lavoro e via dicendo. Se vi va, cercherò di fare dei raffronti fra l'allora e l'adesso, cercando principalmente di notare le differenze nel comportamento femminile. Che ne dite?
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rebelia
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MessaggioInviato: 23 Feb 2006 17:20    Oggetto: Rispondi citando

e cosa vuoi sapere? ti posso raccontare la storia della mia famiglia, se vuoi

per "mia famiglia" intendo principalmente la famiglia di mio padre semplicemente perche' di racconti ne ho di piu'; erano montanari e vivevano del lavoro dei campi e dei boschi

tagliavano la legna anche per conto terzi e la vendevano cosi' com'era oppure ne facevano carbone; falciavano i prati fino praticamente sulla cima e con il fieno allevavano delle mucche che servivano per il latte e per il formaggio e il burro che producevano in casa

avevano anche dei vigneti dove pero' l'uva cresceva a stento perche' il territorio non e' dei migliori, poi coltivavano patate e mais dal quale ricavavano la farina gialla per la famosa polenta; credo coltivassero pure la canapa che lavoravano per ottenerne dei tessuti (ho dormito anch'io nelle lenzuola grezze di canapa: sono freschi e molto comodi! Mr. Green )

mio padre - classe 36 - prima di andare a scuola accompagnava tutte le mattine un piccolo gregge fino al pascolo oppure portava il letame in spalla con una gerla su fino ai prati piu' alti per concimarli e dai suoi racconti dubito fosse una delle sue attivita' preferite, sic!

l'acqua l'andavano a prendere alla fontana del paese con due secchi di rame e un "bigol" o "zempedon" (a seconda della zona), un bastone ricurvo con due ganci ai lati da appoggiare in spalla e questa cosa me la ricordo anch'io, perche' l'acqua corrente mio nonno l'ha avuta in casa che ero gia' abbastanza grandicella: mio padre scavo' un pozzo poco distante dalla casa e tiro' l'acqua fin dentro la cucina; per lavare la biancheria c'era il lavatoio del paese, posto accanto alla fontana (dove abbeveravano anche il bestiame, tra l'altro e dove l'acqua vien fuori con un fiotto continuo grosso quanto il mio braccio direttamente dalla vena posta due metri dietro)

ricordo la jeja pina che ancora lavava i panni al lavatoio e accompagnarcela era una delle attivita' di noi bambini quando eravamo da quelle parti: attivita' molto affascinante da guardare, ma altrettanto pesante da portare a termine!

che altro? beh, i miei nonni erano "ricchi": avevano un cavallo da lavoro e una bicicletta, l'unica del paese che gli altri venivano a prendere a prestito quando c'era da andare dal medico

il nonno materno era un ottimo falegname, molto ingegnoso: ha inventato un sacco di aggeggi strani e di lavoro faceva il manutentore in una grande villa della zona - villa gaggia; la nonna cuciva camicie per conto terzi con la macchina a manovella e le figlie sono andate gia' da giovanissime a far pratica da una sarta poco distante, lavoro che hanno poi continuato a fare anche in seguito; il prozio della mamma faceva il maniscalco, ferrava i cavalli insomma, e faceva anche un altro lavoro: i buchi nelle orecchie delle bambine di famiglia; secondo voi CHI mi fece i buchi all'epoca? Mr. Green

avevo tipo 4-5 mesi o giu' di li' e naturalmente non me lo ricordo, ma nella mia mente c'e' questo zio vestito elegante (cosi' lo conobbi io) con il grembiule da maniscalco, l'incudine e il martellone a fianco che mi buca le orecchie "con un ago passato sul fuoco e un tappo di sughero dietro: non hai neanche detto bah!" 8)

dalle mie parti l'emigrazione era la norma: credo che tutti-ma-proprio-tutti i miei parenti di primo e secondo (e anche terzo) grado siano emigrati per periodi piu' o meno lunghi; una delle mete della generazione dei nonni era il belgio e le sue miniere di carbone, mentre per la generazione dei miei era la svizzera: winterthur, rapperswil, zurigo...
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MessaggioInviato: 23 Feb 2006 19:25    Oggetto: Rispondi

Per esempio: qualcuno fra i più anzianotti (i vecchi non esistono: a Milano si dice 'Hin vecc quej che moeren') ricorderà come si portava una ragazza su uno scooter. Il maschietto era (inutile dirlo) il guidatore, e la ragazza, che mai avrebbe acconsentito a sedersi sulla moto a cavalcioni, sedeva 'all'amazzone', vale a dire seduta di traverso sul sellino, ovviamente con la sottana e ben abbarbicata al guidatore. Non poteva fare diversamente, perchè altrimenti alla prima curva sarebbe rovinosamente caduta, quindi doveva per forza abbracciare il conducente, che le piacesse o no. E' il caso di aggiungere che qualcuno se ne approfittava?
Una cosa del genere oggi, oltre che essere proibitissima dal codice della strada
sarebbe assolutamente impensabile (per conferma chiedere alla dea Biker...)
La sottana (voi direte che sono fissato con le sottane...) doveva essere tenuta ben stretta intorno alle gambe e, nel caso che le sottane fossero larghe, bisognava che la ragazza se la rivoltasse sotto il sedere in modo che non sventolasse con il vento di corsa. Erano manovre abbastanza complicate, ma nessuna ragazza avrebbe mai rinunciato a compierle.
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