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il debito non lo paghiamo!
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Autore Messaggio
paolodegregorio
Dio minore
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Registrato: 13/07/07 12:00
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MessaggioInviato: 15 Ago 2011 17:07    Oggetto: il debito non lo paghiamo! Rispondi citando

- il debito non lo paghiamo! -
di Paolo De Gregorio, 13 agosto 2011

In molte persone si è accentuata la sensazione che non siamo più protagonisti del nostro destino, in quanto immersi in un sistema globale che ogni tanto ci sommerge con le sue ondate speculative, con flussi migratori, con regole che ci impediscono di difendere le nostre produzioni.
La situazione è molto sgradevole, la nostra adesione alla WTO ci impedisce di mettere dazi sulle importazioni e dobbiamo subire la penetrazione di merci, spesso scadenti e nocive, che però costano meno e mettono in crisi strutturale interi settori produttivi con conseguenti fallimenti e crollo della occupazione.

Nel 2007-2008 la finanza pirata di oltreoceano ci vomitò addosso la speculazione dei subprime e dei derivati, vere e proprie truffe a cui abboccarono tutti, banche, enti locali, privati, fattore che depresse tutta l’economia europea, dalla cui caduta non ci si è più ripresi.
Oggi siamo esposti (con 1.901 miliardi di euro di debito pubblico) alla totale volontà speculativa di chi possiede i certificati di questo debito. Come può una nazione considerarsi libera e indipendente se può essere messa in bancarotta in ogni momento?
Il peso degli interessi che il nostro Tesoro paga ai detentori dei titoli (BOT-BTP-CCT) è insostenibile, e si deve ricorrere a sempre nuove emissioni con tassi di interesse sempre maggiori che finiscono per far lievitare ancora i 1.901 miliardi di euro di debito (metà posseduto da banche italiane e metà internazionali).

Da questa gabbia non si esce vivi. La ripresa economica non ci sarà perché sono troppi ormai i paesi che producono merci, anche sofisticate, con manodopera a basso costo, non investiamo nulla in ricerca e i nostri cervelli migliori vanno a produrre per altre economie, non abbiamo materie prime, l’Europa non esiste ed economicamente è fatta di paesi in concorrenza tra loro, e vi è una strategia internazionale che è favorevole a mettere in crisi i paesi deboli (Grecia, Portogallo, Irlanda, Italia, Spagna) per metterli sotto tutela, comperare i pezzi pregiati e decretarne il declino.

La globalizzazione conviene solo ai paesi forti, anche militarmente, come gli USA e la Cina, a quelli che possiedono grandi multinazionali, a quei paesi che offrono mano d’opera abbondante e a basso costo.
L’Italia non possiede nulla di tutto questo, e se la Cina con i suoi fondi sovrani comprasse il nostro debito pubblico, economicamente diventeremmo una provincia cinese.

Nel mondo solo Ecuador e Islanda hanno deciso di non pagare il loro debito e si sono sottratte allo strangolamento delle banche.
Anche in Italia, come in Grecia e negli altri paesi sotto attacco, vi è solo questa strada per uscire dall’impoverimento e dalla globalizzazione, a cui deve seguire l’uscita da FMI, Banca Mondiale, Nato, WTO, Unione Europea, interventi militari, moneta unica.
E’ chiaro che se non si ha un programma economico nuovo, ambizioso, alternativo, come quello di raggiungere l’autosufficienza energetica ed alimentare, con una rivoluzione tecnologica fatta in casa, dove si studia, si progetta, si produce, si realizza l’indipendenza dal petrolio, con la completa solarizzazione delle strutture produttive, delle case, delle auto, si imposta una agricoltura tutta biologica legata ai consumi interni, il declino e il fallimento sono strasicuri.

Chi non accetta questa possibilità di percorso alternativo alla globalizzazione ci deve spiegare come si esce da un debito di 1.901 miliardi di euro che oggi ci costa di interessi la bella cifretta di 75 miliardi di euro l’anno, solo per non farlo aumentare, senza parlare di come eliminarlo.
Se la discussione ha un senso bisogna entrare nel merito e proporre cose realistiche e fattibili rispetto alla situazione attuale.
Paolo De Gregorio
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paolodegregorio
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Messaggi: 979

MessaggioInviato: 30 Ago 2011 12:10    Oggetto: Rispondi citando

- globali? No grazie!
di Paolo De Gregorio, 29 agosto 2011

Non sono molti quelli che riconoscono la grande lungimiranza dei cosiddetti no-global, che intuirono molti anni fa i grandi guasti che avrebbe portato la globalizzazione, e moltissimi sono coloro che oggi davanti alla crisi la ritengono inevitabile e senza alternativa.
Persino Tremonti, di cui abbiamo subito per anni le saccenti ed incomprensibili analisi, è oggi costretto ad ammettere che la crisi c’è, è di sistema e non ciclica, e non se ne vede la fine (lui dice “game over”).
La ricetta infallibile, di destra e di sinistra, prescrive di rilanciare l’economia, espandendo la nostra penetrazione nei mercati, come se ciò dipendesse dalla buona volontà di qualcuno o dalla possibilità di licenziare più facilmente o da una maggiore produttività.

La dura realtà e la cruda verità non sono mai arrivate al grande pubblico, perché c’è da sudare freddo ad ammettere un declino senza speranza, determinato dal peso insopportabile degli interessi da pagare su un debito pubblico arrivato a 1.900 miliardi di euro, e dall’altra parte da una feroce lotta sui mercati che è stata perduta dall’Italia, che è stata invasa da merci straniere di ogni tipo, anche in quei settori in cui era un paese esportatore (tessile, cantieri navali, ceramica, ecc.).
Ma il segno più evidente di un declino senza speranza è quello di vedere ridurre, da un governo incapace, i finanziamenti alla ricerca e alla università, con il risultato che i nostri migliori cervelli vanno a rinforzare le economie che hanno vinto la globalizzazione.

Bisogna capire che la globalizzazione ha già i suoi vincitori e i suoi vinti. L’Italia ed i paesi europei (eccetto Germania e Francia) che non hanno industrie multinazionali, che non hanno manodopera a basso costo per competere con i paesi asiatici, che sono fortemente indebitati e prossimi al fallimento, sono ostaggi delle banche e dei fondi sovrani dei paesi ricchi, tipo la Cina, che è in grado di comprare il debito pubblico di interi paesi e governarli secondo i propri interessi, tenendoli in eterno in condizione di inferiorità e sottosviluppo.

I paesi forti, finanziariamente, per struttura industriale, militarmente, tendono, in una sorta di neo-colonialismo, a far restare deboli i paesi in crisi, comprandone tutti i pezzi pregiati a prezzi di saldo, magari sostenendo che lo fanno per aiutarti e per evitarti il fallimento.
Facendo un esempio concreto, Francia e Germania detengono metà del nostro debito, siamo sotto tutela e commissariati, e se volessero comprarsi rispettivamente Alitalia o la Fiat a prezzi stracciati non avrebbero difficoltà e il nostro declino sarebbe conclamato.

Se la maggior parte degli italiani avesse chiara la situazione, non si illuderebbe che basta cambiare governo, è necessaria un svolta epocale.
Nessun movimento e nessun partito si prende la responsabilità di dire come stanno veramente le cose. Nessuno indica l’unica strada percorribile, che è quella di dichiarare fallimento e non restituire il debito, tornare ad una moneta nazionale, uscire da WTO, FMI, NATO, finirla con le spese militari, e affrontare un piano trentennale per avviare una riconversione che ci porti alla indipendenza energetica ed alimentare, con ricerca, manifattura, installazione tutta italiana, protetta da dazi adeguati.

Chiunque vi dica che l’economia si riprenderà, che senza l’Euro siamo finiti, che bisogna essere sempre alleati di qualcuno altrimenti ci invadono, che abbiamo un prestigio da difendere, vi prende perfidamente in giro e apre la porta ad un futuro drammatico, perché con l’autosufficienza energetica con le rinnovabili e con l’autosufficienza alimentare si sopravvive, ma da una crisi petrolifera e dal fatto che importiamo il 70% del nostro fabbisogno alimentare si esce solo uccidendoci a vicenda.

Chiunque può fare la scelta di andare in campagna e rendersi indipendente con le rinnovabili e con una agricoltura legata al territorio, con vendita diretta dei prodotti, lo faccia e si rivelerà più furbo di tanti intellettuali e politicanti che sono sanno solo campare sulle spalle dei contribuenti.
Paolo De Gregorio
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paolodegregorio
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MessaggioInviato: 11 Ott 2011 19:40    Oggetto: Rispondi

- la crescita: una pia illusione -
di Paolo De Gregorio, 10 ottobre 2011

Ho guardato ieri 9 ottobre il bel programma di Iacona su Rai3, e in particolare la parte che riguardava la crisi dell’agricoltura.
Quelle terre del Sud, da secoli coltivate a grano, abbandonate agli sterpi perché il prezzo pagato dai grossisti non è remunerativo delle spese per la coltivazione e il raccolto.
Naturalmente anche questo settore è caduto sotto le logiche della globalizzazione e 5 multinazionali al mondo decidono i prezzi, decidono quando far arrivare le navi cariche (in genere quando si verificano i raccolti) per deprimere i prezzi, e arrivano con prezzi elevati dovunque nel mondo ci sia penuria di cereali.

Le facce disperate di quei contadini emarginati dalla globalizzazione parlano più e meglio di qualunque economista liberista che ci serve la solita balla che il mercato è l’unico regolatore possibile e che bisogna stare al gioco della WTO e della libera circolazione delle merci.
La litania corale che tutte le forze produttive, sindacali, politiche ripetono ad ogni sospiro è “CRESCITA”, con grave sprezzo del ridicolo e con la complicità beota di quasi tutti i mezzi di informazione.

Non si vuole informare la gente, per tema di rivolte, che questa globalizzazione e questa crisi mondiale hanno già i vincitori e i vinti. La vittoria è arrivata per i più forti con strutture multinazionali già presenti nel mondo, per quelli che hanno alle spalle il potere finanziario delle grandi banche, per quei paesi come Cina e India che hanno centinaia di milioni di operai a basso costo, per i possessori di materie prime, per chi ha strutture di ricerca di eccellenza.

La “CRESCITA” riguarda questi paesi. Per coloro che non ce l’hanno c’è solo il lento (o rapido) declino, con la vendita ai paesi più forti dei residui pezzi pregiati della propria economia (in Italia è facile che la Wolkswagen compri la Fiat, che la Francia compri Alitalia, che i cinesi comprino porti o altre infrastrutture).
Frattini si lamenta che ormai i giochi in Europa li fanno solo Germania e Francia, ma questa è la dura realtà visto che i più forti sono loro.
La crisi dei paesi più deboli è attesa come la manna dai paesi più forti per banchettare con i pezzi pregiati restanti.

L’Italia è tra i paesi soccombenti. Infatti non ha multinazionali, non ha materie prime, non ha manodopera a basso costo, non ha strutture scientifiche di ricerca di eccellenza e i suoi cervelli migliori vanno nei paesi già forti a dare una mano ai vincitori.
Né a destra, né a sinistra si prende atto di questa elementare verità. Si ingannano le persone con la speranza di una ripresa e di una crescita che non ci sarà mai. Si cela il fatto che gli interessi che paghiamo per il nostro debito pubblico sono talmente pesanti che non usciremo MAI dalla crisi.

-Non pagare il debito
-uscire dall’Euro e dall’Europa, dalla WTO, dal FMI, dalla Nato (e quindi dalle relative spese militari)
-progettare un piano di “green economy” per l’autosufficienza energetica ed alimentare del nostro paese, dove venga installato il materiale necessario progettato e prodotto esclusivamente in Italia, cominciando dalla autosufficienza energetica di ogni struttura produttiva e agricola, attraverso le rinnovabili e l’agricoltura biologica.

Solo proteggendo la nostra produzione agricola, vietando le importazioni, possiamo dare una prospettiva di lavoro alle moltitudini di contadini che lasciano la terra, producendo per i consumi interni e per il loro territorio, praticando la vendita diretta e le consegne a domicilio, senza più passare per le forche caudine mafiose che controllano i mercati generali, magari integrando il reddito agricolo installando pannelli fotovoltaici e vendendo alla rete l’eccedenza elettrica prodotta.


Solarizzare tutto il nostro paese con l’obiettivo di non importare più né gas, né petrolio, sarebbe una strategia entusiasmante e lungimirante se fosse gestita con progetti, manifatture, installazioni completamente prodotti in Italia, per una rivoluzione verde di cui hanno estremo bisogno la salute degli uomini e dell’ambiente.

Coloro che sostengono la globalizzazione devono ammettere, almeno per ciò che riguarda l’Italia, che è un radicale fallimento e, senza usare gli insulti tradizionali di catastrofisti o acchiappanuvole, ci devono spiegare come uscirne, e fare presto perché la crisi economica e l’assenza di un futuro credibile pesano sempre più.
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